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Turismo in rivolta per gli stagionali: “Non tagliate i sussidi della Naspi”

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La categoria chiede all’esecutivo di lasciare intatta l’indennità di disoccupazione ora al 50% dei mesi lavorati

di Rosaria Amato

– «Ridurre la Naspi al di sotto del 50% del periodo di lavoro? Vuol dire che non si è capita l’importanza della stabilità per i lavoratori del turismo. E quindi non è vero che l’Italia vuole scommettere sul turismo». Paolo Manca, presidente di Federalberghi Sardegna e vicepresidente nazionale, guarda con molta preoccupazione alla possibilità che il governo decida di ridurre la durata dell’indennità di disoccupazione, che già adesso penalizza molto i lavoratori del turismo: solo chi riesce a lavorare per otto mesi l’anno infatti ha un reddito garantito tutti i mesi. Gli altri, da quando è entrato in vigore il Jobs Act, si devono accontentare di circa tre mesi di indennità, corrispondenti ai sei mesi di lavoro che in media riesce a coprire uno stagionale del settore turistico. «Da un sondaggio tra i nostri iscritti. – spiega Giovanni Cafagna, presidente dell’Associazione lavoratori stagionali – risulta che la metà degli stagionali lavora meno di sei mesi. Solo il 25% arriva ad almeno sei mesi , e l’altro 25% riesce anche a superarli».
Molti esponenti della Lega non hanno fatto mistero di ritenere «improduttiva» la spesa per la Naspi, ritenuta incoerente rispetto al periodo di lavoro.

Il problema, spiega però Manca, è che, fatta eccezione per le città d’arte, frequentate dai turisti per quasi tutto l’anno, «la maggior parte delle destinazioni turistiche in Italia è costituita da piccoli borghi, spesso nel Mezzogiorno, dove non è possibile trovare un altro lavoro in mesi come novembre. Da noi, in Sardegna, i lavoratori sarebbero costretti a emigrare per metà anno. Diventerebbe impossibile formare una famiglia. A meno che non vogliamo che vadano tutti a vivere nelle città, ma questo significherebbe svuotare i piccoli centri, proprio quei luoghi che si dice di voler rivitalizzare». La questione non si limita alle isole come la Sardegna, o la Sicilia, dove gli spostamenti sono particolarmente complicati: «Anche dalle città della Riviera romagnola è difficile pensare di potersi spostare tutti a Bologna in inverno, magari facendo i pendolari», dice Cafagna.


Il settore turistico quest’anno ha recuperato i livelli pre-Covid, ma tutta la stagione è stata caratterizzata da una grande difficoltà di reperimento dei lavoratori stagionali. La differenza tra alta e bassa stagione turistica è molto ampia: il picco minimo di lavoro, che cade a febbraio, l’anno scorso è stato di 625.525 dipendenti, mentre il massimo è stato di 1.391.222. Il fabbisogno di stagionali dunque è molto alto, ma per gli imprenditori è difficile far arrivare lavoratori stranieri, per via delle lungaggini del decreto flussi, mentre la pandemia ha prodotto una forte disaffezione da parte dei lavoratori residenti, che a causa del Covid si sono ritrovati all’improvviso senza reddito e senza sostegni. «Come sindacato, chiediamo che agli stagionali del turismo venga riconosciuta una indennità di disoccupazione uguale a quella applicata ai lavoratori agricoli, che come noi sono soggetti alla stagionalità del territorio e dell’attività».

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